La cavia


Da dieci minuti cammino nell'oscurità e nel silenzio quasi totali: l'unico suono che sento è l'eterno zampettìo delle formiche che ancora procedono al buio.
Ad un tratto mi accorgo di essere in un'ampia sala perché il mio respiro e i miei passi rimbombano come dentro ad una cattedrale; ho come uno strano senso di prurito dietro alla nuca, istintivamente mi do una bella grattata e mi accorgo che le formiche mi sono salite addosso e si stanno dirigendo verso le mie orecchie.
A questo punto, che mi crediate o no, sento le flebili voci dei piccoli insetti che mi parlano: "Non avere paura di lei!" ripetono, "non è cattiva come sembra!"
Non faccio in tempo a chiedere chiarimenti, che sento il fruscio di qualcosa di enorme e pesante e un verso lamentoso e gutturale. Subito penso al lamento di un orangopiango, ma so che vive solo nelle foreste dell'Arcipelago Mutevole così, mentre rifletto su chi potrà mai emettere queste strazianti lagne, mi accorgo che il pavimento ha una consistenza strana, direi croccante.
Di colpo si accende una piccola luce che illumina l'enorme sala: è una grotta sconfinata scavata nel cuore di un gigantesco filone d'oro e il pavimento è ricoperto di ossa e crani animali, e io inizio a rosicchiarmi nervosamente le unghie.
L'illuminazione al centro della caverna proviene da una torcia in mano ad un'essere abnorme che non riesco a distinguere bene.
C'è qualcosa in quella mostruosa figura che mi attira, così, il più silenziosamente possibile, mi avvicino.
Ora sono abbastanza vicino da iniziare a scorgere qualche particolare in più, come la pelle bianchiccia e qualcosa, nei capelli, che sembra ricordare per colore e lucentezza l'oro incastonato nelle pareti rocciose.
Ormai sicuro delle mie capacità furtive procedo a passo più spedito ma all'improvviso pesto in pieno il teschio di quello che dev'esser stato un grosso gatto selvatico che va in pezzi con un fracasso che echeggia per diversi secondi.
L'essere si volta di scatto, faccio in tempo a vedere solo due occhi freddi come il ghiaccio, poi mi volto e inizio a correre.

Corro inciampando tra le ossa mentre urlo come un pazzo... Seguire le formiche... che idea idiota! Ma mentre sono impegnato nella disperata corsa e nell'appassionata autocritica, non mi accorgo dell'enorme mano che, dalle mie spalle, in un attimo mi afferra impedendomi ogni movimento.
"Perché scappa?" Dice una voce cavernosa.
"Perché vuoi mangiarmi e buttare le mie ossa con le altre!"
"Io... Mangiare te?" La creatura prende a ridere così forte da far tremare l'intera caverna. "Perché tu pensa questo?".
"Beh, questo mare di ossa..." rispondo, incerto, "mi sembrano tutte ben rosicchiate!"
"Queste?" dice, "Sono solo avanzi di mie grigliate!" spiega, orgogliosa, "Ma no persone, eh! Anzi, mi hanno detto non si mangia bipedi, così io no mangia neanche scimmie e galline."
"È un dilemma quello delle due zampe!" le rispondo io, assecondandola, "Infatti io mangio solo pesce!"
"Tu è simpatico, cosino" esclama, "come ti chiama?"
"Sono Mot mcMot, per gli amici solo MotMot..."
"Io è tua amica, Mommòt!" Annuncia ella ed alzando la fiaccola mi permette di vederla meglio. È una donnona enorme vestita di vecchie maglie formato gigante, un grande viso paffuto con un nasone a patata, pomini incandescenti e occhi come il mare che tanto mi manca, il tutto incorniciato da folti e lunghi capelli che più che biondi sembrano gialli come la paglia... Anzi, mi sa che sono proprio fatti di paglia!
"Tu come ti chiami?" le domando, cercando di essere gentile.
"Io? È tanto che nessuno chiama me, io mi è dimenticata!".
Sembra afflitta dalla cosa, così cerco di tirarle su il morale: "Ti chiamerò Capaglia!"
"Capaglia?" ripete, pensierosa, "Che brutto! Mi piace!"
Mi metto a ridere e lei fa lo stesso, poi, trascinandomi come un sacco di patate esclama: "Sì, tu mi piace! Io ti tengo qui per sempre!"
"Come per sempre?" le chiedo preoccupato, "Non posso restare qui!"
"Perché non può restare Mommòt?" mi domanda ella tristemente, "Tu non può andare in giro così!"
Non capisco cosa intenda. "Così come?"
"Tu ha cuore rotto!" dice, quasi confidenzialmente, indicando il mio petto, "Io può aggiustare".

L'enorme Capaglia mi porta in un'altra stanza, più piccola e con meno ossa in giro, e mi incatena ad una parete con una grossa manetta arrugginita chiusa da una vecchia chiave.
"Hai detto di essere mia amica!" piagnucolo "Perché mi leghi così?"
"Sei la mia cavia!" si limita a dire ella in tono dolce, come se fosse davvero convinta di fare una cosa buona.
"Hai detto di potermi aggiustare..." dico, più timoroso che speranzoso "cosa intendevi dire?"
La gigantessa mi ignora e armeggia con degli attrezzi metallici in un angolo della caverna.
Non me lo spiego, ma pur temendo che le cose si stiano mettendo male per me, c'è qualcosa in quella grossa e infantile tizia che mi incanta in modo inspiegabile, e questa sensazione cresce di minuto in minuto finché non ne sono irretito a tal punto che potrebbe anche liberarmi dalle catene e non fuggirei.
Ma l'incanto vacilla quando ella mi si avvicina con uno spuntone di ferro arrugginito e inizia a pacioccare tra gli ingranaggi dentro il mio petto facendomi un male indicibile. Urlo come un forsennato e la cosa che più mi lascia interdetto è che la grossa Capaglia per tutto il tempo mantiene il suo sguardo sereno e amorevole. Ella poi si allontana e riesco a riprendere fiato ma, proprio quando speravo che avesse finito di torturarmi, ella torna con una grossa chiave inglese, una scatola di latta e una fiamma ossidrica, che appoggia a terra. Quando riprende a frugare tra i miei meccanismi malandati io, disperato, urlo: "Cosa vuoi da me? Perché mi torturi?!"
Lei si ferma e mi guarda, sorridente: "Io ti fa male perché ti vuole bene!" poi tira fuori dalla scatola uno strano congegno fatto da una miriade di minuscoli ingranaggi e me lo conficca nel petto provocandomi un ultimo lancinante dolore, per poi mettersi a saldarlo con la fiamma ossidrica.
Con uno strattone del mio braccio destro (quello più forte perché quasi del tutto artificiale) scardino la catena che mi lega, le strappo la bomboletta dalle mani e punto la fiamma verso i suoi capelli di paglia, che subito iniziano a bruciare, crepitando.

[continua...]

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