La cava



Quando finalmente il mondo smette di ruotarmi vorticosamente intorno e il prurito metallico al petto diminuisce leggermente, riesco ad alzarmi e mi accorgo che nella stanza adiacente alla mia c'è un vecchio e tarlato tavolino di legno poveramente apparecchiato. Mi sento come se non avessi mangiato nulla per settimane e così, senza pensarci su, mi fiondo a sedere al tavolo. Il mio mezzo ottimismo viene ben presto demolito da ciò che mi trovo nel piatto: qualche lisca di pesce con ben poca polpa bagnata da un brodino giallastro maleodorante, a fianco un minuscolo pezzo di quello che forse qualche mese fa doveva ricordare del pane vecchio.
Non che io abbia un palato particolarmente fine, Dio solo sa le schifezze immonde che mi sono ridotto ad ingurgitare in alcune interminabili traversate oceaniche, ma non capisco se si tratti di una goffa e ributtante accoglienza o semplicemente di un pasto abbandonato su sto tavolo da prima della Guerra dei Canditi.
Noto del movimento sul tavolo: un manipolo di coraggiose formiche si aggira attorno al pane ammuffito come per trovare il punto migliore per iniziare il prelievo di briciole per il formicaio, ma evidentemente - tiro un sospiro di sollievo - ci sono solo punti peggiori, così gli insetti rinunciano e prendono ad allontanarsi. Mi accorgo che, una volta ordinatesi in fila indiana, la formiche sono molto più numerose di quel che mi sono sembrate inizialmente e, scendendo lungo una gamba del tavolo e dirigendosi verso la porta, molte altre si uniscono alla marcia, formando una processione di cui non riesco a vedere la fine.
"Non ho nulla da fare" penso, annoiato "chissà dov'è il formicaio!", così mi metto a seguirle, ed esco all'aperto.

Potrei dirvi che fuori è una giornata splendida, che c'è gente che mi guarda stupita e bambini che giocano a Pirati contro Ganzi o anche che la vita del villaggio è calma e serena e via dicendo. Ma la verità è che tutto questo potrebbe essere vero o del tutto inventato, io di certo non lo so, perché non riesco a staccare gli occhi neanche per un secondo dalle formiche, come se mi avessero ipnotizzato, forse per portarmi al formicaio e divorarmi. Rido tra me: "certo che sarebbe esilarante, dopo una vita di avventure per mare a combattere tempeste, pirati rivali e mostri marini, finire nello stomaco di migliaia di minuscole formiche." Ma, scacciati questi pensieri da androide difettoso, mi accorgo di essermi allontanato dal villaggio e quando per la prima volta alzo lo sguardo mi ritrovo davanti ad un vecchio barbuto pieno di rughe e tatuaggi su volto, braccia e mani, che, seduto su una sedia a dondolo sotto la tettoia della sua malandata casetta di legno, mi punta contro una spingarda.
"Maledetto mostro, torna nella lurida officina infernale dove ti hanno forgiato!" sibila, e prende a sparare.
Per fortuna il vecchiaccio ha una pessima mira (o una pessima vista) e mi colpisce solo di striscio, perdo un paio di rotelle ma proseguo di corsa, rintraccio la fila di formiche e continuo a seguirla.
Giungo poco dopo al punto in cui uno dei proiettili che mi ha mancato si è conficcato in una roccia e qualcosa di luccicante mi attira, risvegliando il mio istinto piratesco. Dalla pietra si sono staccati dei pezzetti così gialli, lucidi e luminosi che non possono essere confusi con nient'altro: è oro.
Raccolgo subito le pepite ma non faccio nemmeno un altro passo che ecco che un altra pietrolina spunta in mezzo all'erba, e poi un'altra, e un'altra ancora, sempre più numerose e grosse, formando una scia che si estende a fianco alle formiche, fino a quando non mi ritrovo davanti all'ingresso di una voragine dalle pareti scintillanti piene di oro grezzo incastonato nella pietra e per terra davanti a me un piccolo piccone da minatore: lo impugno e mi addentro nella cava.

[continua...]

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