La Realtà Nel Fantastico #6 - Ucronia e società: Watchmen

Dopo Little Nemo e Zio Paperone, è giunto il momento dei Vigilanti!


LA REALTÀ NEL FANTASTICO 
DAGLI STUDI DI TOLKIEN AL FUMETTO D'AUTORE 


6 - UCRONIA E SOCIETÀ: WATCHMEN

    Il prossimo fumetto che andremo ad analizzare è la maggiore opera del maggior autore di fumetti inglese degli ultimi decenni: Watchmen di Alan Moore; pubblicata in dodici episodi tra il 1985 e il 1987, quest'opera rappresenta una pietra miliare della letteratura disegnata, innovatrice nei contenuti, nello stile e nelle tecniche narrative. Moore aveva spesso lavorato a storie di supereroi, ma nulla che potesse essere paragonato con ciò che realizzò insieme a Dave Gibbons, il disegnatore di Watchmen: ciò che crearono non è una semplice storia a fumetti di supereroi, ma un vero e proprio universo, una realtà alternativa ricca di elementi, curiosità, sfaccettature e sottotrame che vanno a comporre un'opera di una profondità e complessità più unica che rara, nel mondo dei fumetti di supereroi. 


6.1 - Il complesso universo dei vigilanti
    Come per gli altri fumetti di cui abbiamo trattato, la grande efficacia di Watchmen sta nella sua veridicità e realisticità, immediatamente riscontrabili nello stile e nelle tecniche ed elementi narrativi. Ciò è dato da molti fattori, il più evidente è forse quello della ricchezza e varietà di contenuti, non solo per quanto riguarda la trama del fumetto, ma anche per altri elementi, come le pagine inserite alla fine di ogni capitolo: brani di libri, documenti, interviste, articoli e lettere che fanno parte della storia, la arricchiscono e le danno una connotazione estremamente realistica e di grande credibilità. In quegli “inserti” il lettore viene a conoscenza del pensiero dei personaggi, della loro vita, della situazione politica e sociale, e di altri numerosi dettagli che sarebbe stato impossibile inserire all'interno delle tavole di ogni capitolo.

    Ci sono molti altri espedienti che aumentano l'importanza e la poliedricità di quest'opera, uno di questi è la totale assenza di un narratore esterno alle vicende rappresentate: tutte le didascalie presenti esprimono il pensiero dei personaggi, che, con le loro riflessioni, permettono al lettore di addentrarsi negli avvenimenti molto più direttamente e immediatamente di come lo farebbe una voce terza, che descrive i fatti senza viverli in prima persona. Un altro stratagemma narrativo molto interessante e geniale è la sottotrama di un giornalino letto da un ragazzino presso un'edicola di New York, dov'è ambientata la vicenda; una storia nella storia, un fumetto nel fumetto che, senza aver nulla a che vedere con la vicenda di Watchmen, almeno non narrativamente, scandisce alcuni avvenimenti ed incornicia pensieri e discorsi di persone nelle vicinanze del giovane lettore, creando un'incredibile dinamicità di riferimenti e collegamenti con la vicenda principale, rendendola ulteriormente coinvolgente e drammatica.

Fig. 6.1 - La prima, molto nota, tavola di Watchmen.

    Andando ad analizzare i protagonisti della vicenda narrata in Watchmen, si potrà facilmente notare che non si tratta dei soliti personaggi piatti e stereotipati, bensì di personalità ben definite e originali, dei perfetti qualunque, tranne per il fatto che i loro pregi e difetti sono così accentuati ed esasperati, da poter essere considerati di per sé come i veri superpoteri dei vigilanti. Nessuno di loro rappresenta il classico supereroe, senza macchia e senza paura, modesto e benevolo, giusto e misericordioso; tra i vigilanti c'è chi ha carenze di autostima, chi vive all'ombra della madre, chi è un anarchico cinico ed impulsivo e chi è affetto da un'esagerata megalomania. Tutto ciò non fa che avvicinare il lettore ai personaggi, presentandoli non come irraggiungibili ed utopici modelli di infallibilità, ma immergendoli in una condizione di umana imperfezione e mettendoli alla prova con tutta una serie di problematiche etiche e morali, ancor prima che fisiche o mentali.

    In origine, Moore e Gibbons avrebbero voluto utilizzare per questa storia dei supereroi già esistenti, appartenenti ad una defunta linea di fumetti, la Charlton, ed approfondire il loro universo; ma il fatto che non abbiano infine attinto a tale risorsa non ha potuto far altro che favorire il raggiungimento di un migliore risultato, con la profonda connotazione di originalità e strana familiarità che contraddistingue quest'opera, dal momento in cui i personaggi vengono letti come figure totalmente nuove, più appartenenti ad un intricato romanzo thriller, che ad una serie di pubblicazioni supereroistiche.

    Molto interessante e degna di un'attenta osservazione è l'ambientazione storica di Watchmen. Se per quanto riguarda l'opera di Don Rosa le vicende storiche riportate erano reali e fedeli al vero svolgimento dei fatti - tranne i fantasiosi retroscena - in Watchmen Moore crea una realtà alternativa, in cui storicamente tutto è andato come nella realtà solo fino al momento in cui i supereroi hanno iniziato ad intervenire nelle faccende del mondo, da allora abbiamo un'ucronia; in altre parole, la storia prende una piega diversa: siamo nel 1985, e grazie a Dr. Manhattan gli Stati Uniti hanno vinto la guerra del Vietnam, grazie a questo successo Nixon è ancora al potere e gli attriti con la Russia stanno per sfociare in un terribile conflitto nucleare. Tutti questi cambiamenti della storia sono avvenuti proprio a causa della presenza nel mondo dei vigilanti, ed in particolare di Dr. Manhattan, che alla fine è l'unico vero supereroe, essendo l'unico vigilante a possedere superpoteri, che con il suo intervento ha cambiato il destino della nazione più grande del mondo, ma ha irreversibilmente e pericolosamente modificato il futuro del mondo. 

Fig. 6.2 - Il Presidente Nixon, ancora in carica nel 1975, alle celebrazioni della vittoria in Vietnam.

    Questo inserimento delle vicende in un contesto storico che però è modificato e distorto, crea al tempo stesso sensazioni di verosimiglianza e alienazione, decisamente insolite per un fumetto di questo tipo, ma davvero efficaci per il tipo di vicenda narrata in quest'opera. Inoltre Moore arricchisce questa ucronia di un'infinità di elementi culturali e sociali di fantasia, che però rendono più profondo e palpabile l'universo di Watchmen: le pubblicità di Nostalgia, il profumo messo in commercio da Adrian Veidt, le particolari pipette usate al posto delle normali sigarette, il modo di fare politica e televisione, le particolari citazioni al termine dei capitoli, lo smile, faccina sorridente, simbolo del fumetto stesso e del Comico, il vigilante che più di tutti rappresenta l'assurdità e la crudeltà del mondo e dei potenti ai tempi della guerra fredda, sono tutti dettagli che donano completezza e volume a quella che non è semplicemente un'ambientazione di sfondo, ma un'intero universo, come dice Alan Moore: “questo libro, piuttosto che riguardare un singolo supereroe o un gruppo di supereroi, riguarda il loro mondo, il mondo in cui vivono e gli effetti della loro presenza su di esso”.


6.2 - Supereroi e superproblemi
    In ultima analisi, l'elemento più caratterizzante di questo fumetto, e che lo distingue notevolmente dalle altre opere di questo genere sono senza dubbio i temi trattati. Su uno di questi mi soffermerei particolarmente perché contiene lo stesso ragionamento che è stato qui espresso e argomentato nel capitolo 1. Uno dei protagonisti di Watchmen, Daniel Dreiberg, oltre ad essere un vigilante mascherato, è anche un appassionato ed esperto di ornitologia.
Nel testo al termine del settimo capitolo del fumetto, viene presentato un articolo di Dreiberg che esprime né più né meno il concetto per cui, studiando un oggetto con un metodo unicamente scientifico, avvicinarsi ad un animale con la sensibilità di uno statistico o di un anatomista, può far perdere la poesia insita in esso, è possibile che le minuziose descrizioni e la pignola analisi dei dettagli possa sì portare alla conoscenza di un dato oggetto di studi, ma non fa che allontanarci sempre di più dal mito, da quell'affascinante ed incantato mondo dell'immaginazione.

    Un tempo, pur dando la giusta importanza allo studio e all'analisi scientifica, si attribuiva una fondamentale importanza alle sensazioni che il mondo naturale suscitava nell'animo umano, e alle immagini e miti che tali sensazioni inducevano a creare, come se tali immaginazioni nascondessero il senso e l'essenza delle cose, molto più di un resoconto meramente matematico e scientifico.

    E questo è soltanto uno, dei tanti temi toccati in Watchmen: nel susseguirsi dei capitoli vengono affrontate questioni riguardanti l'amore, l'amicizia, la giustizia, il progresso, il senso del tempo, del sacrificio e della stessa esistenza umana, e durante la lettura ci si dimentica totalmente di avere a che fare con un'opera di fantasia, immedesimandosi totalmente nelle riflessioni su problemi che apparentemente sono più grandi dei personaggi che li devono affrontare, e ciò è espresso perfettamente dall'esclamazione di Daniel Dreiberg, in arte “Gufo Notturno” uno dei vigilanti: “come possono dei semplici esseri umani prendere decisioni simili?”, e ancora: “io ancora non riesco a capacitarmi. Sono cose oltre la nostra portata”.
Non si può dire che non sia toccante ed innovativo inserire in un fumetto di supereroi un argomento come quello trattato nel nono capitolo, quando Dr. Manhattan, che sempre di più sta perdendo interesse per l'esistenza umana e per il destino del mondo, grazie a Laurie riscopre il fascino e il mistero del miracolo della vita:

Osserviamo continuamente il mondo, ed esso diventa opaco ai nostri occhi. Eppure, ammirato da un'altra prospettiva, può ancora far mancare il fiato, come se fosse nuovo.
Alan Moore e Dave Gibbons, Watchmen, Planeta DeAgostini, Barcellona, 2007


    Infine, c'è il problema forse più gravoso e centrale di tutta la vicenda, quello che verrà affrontato negli ultimi due capitoli. Si tratterà di rischiare che gli Stati Uniti entrino in una disastrosa guerra nucleare con la Russia, o, per quanto assurdo, cercare di evitarla uccidendo la popolazione di New York con una finta invasione aliena, che avrebbe fatto svanire tutte le ostilità, per affrontare un nemico maggiore ed esterno.
È giustificabile il sacrificio di migliaia di persone innocenti, uccise per evitarne la morte di milioni? Quindi: la fine giustifica sempre i mezzi?

    Lungi dal fornire una risposta chiara ed univoca, l'autore si limita a mostrare le varie opinioni dei protagonisti, così diverse tra loro, lasciando al lettore il dubbio e l'onere di quest'ardua scelta.



Nel prossimo appuntamento parlerò della tecnica della closure!
M

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