La Realtà Nel Fantastico #3 - Storia di un nuovo medium

Avete letto il secondo capitolo? La tesi continua con questo compendio degli autori e opere principali nella storia del fumetto internazionale. Se già la conoscete attendete il quarto capitolo, se no una lettura veloce non può di certo farvi del male!


LA REALTÀ NEL FANTASTICO 
DAGLI STUDI DI TOLKIEN AL FUMETTO D'AUTORE 


3 - STORIA DI UN NUOVO MEDIUM

    È necessario, prima di proseguire con l'analisi delle singole opere interessate, ripercorrere la storia del fumetto, così da contestualizzare il discorso iniziato, da inserirlo in determinati periodi storici e culturali e da conoscerne origini e presupposti. Parliamo di una forma letteraria che utilizza l'immagine grafica e la scrittura, si avvale di storie che vengono narrate attraverso l'immagine, e trovano sulla pagina (di carta o schermo del computer) il supporto. Nel suo aspetto satirico, le battute o l'aforisma viene rappresentato attraverso l'uso dell'immagine e della parola. Nel campo cinematografico, il cartoon è la messa in opera di tali immagini, generalmente disegnate a mano o avvalendosi (a partire dagli anni Settanta del Novecento in poi) di elaborazioni digitali e del computer. 

    Il “fumetto” è il termine italiano che indica tale forma; in lingua inglese si usa il termine comics, o strips, in francese bandes dessinées, in giapponese manga, in spagnolo historietas. Tranne qualche eccezione, in ognuna di queste denominazioni del fumetto - compresa quella italiana - si nasconde un'accezione sminuente, da cui traspare una comprensione ancora limitata ed errata del fumetto come arte indirizzata a tutti, proprio come ogni altra arte. 

    Ma andiamo ora a vedere come e dove quest'arte è nata, si è sviluppata, e in che modo il suo peculiare linguaggio si sia evoluto e abbia iniziato coraggiosamente a farsi strada tra le altre grandi arti già affermate nella società e nella cultura. 


3.1 - Le origini europee
    Sono diverse le nazioni che rivendicano la primigenitura del fumetto. Così la Gran Bretagna (Charles Henry Ross con Ally Sloper, 1867), Francia (Georges Colomb con La famille Fenouillard, 1889), Germania (Wilhelm Busch con Max und Moritz, 1865), Svizzera (Rodolphe Töpffer con Monsieur Jabot, 1833) e Stati Uniti (Richard Outcault con Yellow Kid, 1895, e James Swinnerton con Little Bears, 1892). Noi puntiamo l'attenzione su Rodolphe Töpffer. 

    È nel 1827 che il maestro di scuola svizzero Rodolphe Töpffer, inizia a realizzare “Sette racconti per immagini” riuniti poi in volumetti di formato oblungo, e stampati nel 1833. L'idea piace e viene seguita dai francesi che, a partire dal 1839, fanno uscire alcuni periodici illustrati (Illustration di Amédée de Noé, 1839). 

Fig. 3.1 - Copertina del volume di quello che è ritenuto il primissimo fumetto.

    Scrive Gianfranco Goria, uno dei maggiori studiosi di fumetto: “Circa le origini della Letteratura Disegnata e nello specifico del cosiddetto fumetto moderno, la data convenzionale ufficiale è, da molti anni ormai (nonostante la critica italiana se ne sia accorta solo da pochi), spostata al 1827/1833, con la realizzazione (1827) e la stampa (1833) della prima delle storie dello svizzero Töpffer. Su questo non c'è più nessuno che dubiti.” La ricerca è stata affrontata scientificamente, con diverse ristampe dell'opera completa di Topffer, mentre il ruolo dell'americano Yellow Kid è stato definitivamente ridimensionato, grazie anche proprio alle ristampe dell'opera di Outcault: non è mai stato il primo personaggio a fumetti, ma solo quello scelto ad arte dallo storico Coulton Waugh per dimostrare, a posteriori (nell'interessante saggio The Comics, del 1947), che il fumetto era “un'arte autoctona statunitense” (come si fece per il Jazz). In realtà di fumetti moderni a pieno titolo ce n'erano, negli USA, già da molto tempo. Lo stesso Töpffer era stato più volte pubblicato negli USA, pochi anni dopo la sua pubblicazione in Europa, attraverso ristampe delle edizioni Inglesi dei suoi lavori. Solo che erano realizzati da autori non americani, o per lo meno, non americani da almeno un paio di generazioni. Il fatto è che il fumetto moderno arriva negli USA insieme agli emigranti europei. Dalla Germania in particolare arrivano gli “eredi artistici” di Wilhelm Busch e dalla Francia quelli di Topffer, Cham ecc. La gente si portava i propri giornali, le proprie riviste, i propri libri, che contenevano illustrazioni e fumetti di vario genere. Tutti questi autori del passato sono peraltro presenti nel libro di Waugh, per cui l'autore dovette studiare una definizione di fumetto che si adattasse solo a quello scelto per poter dare la primogenitura americana. 

    In realtà la definizione “scientifica” di ciò che in Italia chiamiamo riduttivamente “fumetto”, ha richiesto molti anni di lavoro (da notare quello svolto da Scott McCloud con il suo Capire il Fumetto⁷), nonostante fosse stato proprio Töpffer, nel suo saggio di fisiognomia, il primo saggio sul fumetto mai scritto, a dare una prima definizione di quell'originale mezzo di comunicazione delle idee che egli stava usando: “Fare letteratura per immagini non vuol dire servirsi di un mezzo per esprimere un'idea grottesca, ma non vuol dire neanche rappresentare una storiella o un motto. Significa invece l'invenzione totale di un fatto per cui singole parti disegnate, messe una accanto all'altra, rappresentano un tutto” e nella prefazione a M. Jabot “I disegni senza il testo non avrebbero che un significato oscuro; il testo senza i disegni non significherebbe nulla”. 

    Topffer ebbe successo, come diremmo oggi, di pubblico e di critica, ebbe una moltitudine di imitatori, tra cui Cham, che solo in seguito sviluppò uno stile personale, e diede la stura (aiutato dal suo “sponsor culturale”, Goethe) alla comunicazione tramite Letteratura Disegnata o “storie fatte con immagini”, come si diceva allora. Il fumetto si diffuse a macchia d'olio in Europa, riportando in auge un sistema di comunicazione che era stato invece normalmente utilizzato fino all'avvento della macchina da stampa, e straripò con naturalezza in America, col flusso degli emigranti. Diventò un fenomeno di massa negli USA. 

    A partire dal 1895, anno nel quale il fumetto diventa business sui giornali in USA, la storia del fumetto è la storia del progressivo affermarsi di questa forma di espressione, da un territorio marginale e “popolare” o relegato al mondo dell'infanzia, alla cultura dotta. E, nel momento in cui si afferma tale, il compito degli storici è di ritrovare gli “antecedenti” storici del genere, risalendo alle incisioni rupestri di età neolitica, fino ai bassorilievi della colonna traiana a Roma, e i 70 metri di tessuto dell'arazzo di Bayeu che trasforma in cartoon la conquista normanna dell'Inghilterra. E alle “storie a episodi” dell'incisore inglese William Hogarth (1697-1764). 


3.2 - La produzione statunitense
    Il padre del fumetto americano è considerato l'americano Richard Felton Outcault, che nel 1893 realizza per il supplemento domenicale del quotidiano New York World - di proprietà di Joseph Pulitzer -, il personaggio di Yellow Kid: un brutto ragazzotto rapato, con addosso un camicione giallo, inserito non in una striscia (come saranno i fumetti successivi) ma in una sola animatissima scena invasa da personaggi popolari della New York dei sobborghi. La tavola ha come titolo “Down Hogan's Alley”. Non ci sono ancora i balloons, le scritte poste al di sopra dei personaggi e che esprimono (visivamente) ciò che essi dicono: le scritte figurano ancora sulla camicia del ragazzo, oltre che su cartelli, insegne, lanterne luminose. Il 16 febbraio 1896 Outcault decide di utilizzare i balloons, le nuvolette che racchiudono le parole e i pensieri dei personaggi. 
Nello stesso anno, l'errore di alcuni tipografi fa diventare il grembiule di colore giallo e da lì inizia l'ascesa di The Yellow Kid. Così verrà, infatti, soprannominato ora il simpatico eroe, che, ben presto, approda al supplemento domenicale a colori del New York Journal riscuotendo grande successo e moltiplicando in breve la presenza dei personaggi e dei fumetti sulle pagine dei quotidiani americani. Nato come espediente per aumentare le vendite dei quotidiani, prende il posto del racconto d'appendice. 

    Scrive Gianfranco Goria: la produzione di massa del fumetto in USA nasce “casualmente nel periodo in cui la star era Yellow Kid di Outcault, al centro della dura guerra di conquista da parte dei due principali gruppi giornalistici degli Stati Uniti. Per cui il massimo del primato che si può assegnare a Yellow Kid è quello di essere stato il segnale dell'avvento del fumetto come fenomeno di massa (ma ci fosse stato un altro dei tanti personaggi di allora in quel momento, il primato sarebbe toccato a quello, giacché la “massificazione” fu dovuta all'opera incontenibile dei due grandi editori concorrenti Hearst e Pulitzer e non del fumettista), per quei pochi anni che Yellow Kid, di sicuro non l'opera migliore di Outcault, fu in auge. Per la cronaca, tutte le motivazioni addotte da Waugh (nel saggio The Comics, del 1947) non hanno retto la critica storica: Yellow Kid non nasce come fumetto, ma come illustrazione a piena pagina; il testo vi viene usato in modo destrutturato; non è stato il primo personaggio ricorrente nemmeno nella storia del fumetto statunitense, e così via. Oltre al fatto che, come si diceva, le motivazioni addotte non qualificano assolutamente la natura intrinseca del fumetto moderno. Insomma, come sostiene Harry Morgan in Principes des Litératuress Dessinées (2003), “l'attribuzione dell'invenzione del fumetto a Outcault è un buon esempio di interpretazione abusiva, fondata su criteri superficiali”. Nel 1897 sono pubblicati i Katzenjammer Kids, di Rudolph Dirks. In Italia arriveranno con il nome di Bibì e Bibò. Dirks e Knerr portano per la prima volta i fumetti in tribunale: è il 1913 e ognuno dei due disegnatori si ritiene padre legittimo dei monelli. Il giudice, salomonicamente, autorizzò entrambi a produrre le strips. 

    Sono molti i personaggi di fumetti statunitensi che arrivano anche in Italia, in traduzione, e con modifica del nome. Tranne Yellow Kid che in pratica è stato conosciuto in Italia solo negli anni Sessanta dagli studiosi del fumetto. 
Nel 1896 (o forse nel 1899, gli studiosi non sono concordi) nasce Happy Hooligan (Fortunello) di Frederick Burr Opper. nel 1902 Outcalt, stanco del suo Yellow Kid, dà vita a Buster Brown e nel 1904 nasce la famigliola Newlyweds: il papà brutto e stupidotto, la mamma bellina che anticipa le "svampite", il figlioletto peste, Cirillino. Ne è autore Geo MacManus. È lui nel 1913 l'autore anche di Jiggs e Maggie (in Italia Arcibaldo e Petronilla), con cui raggiunge l'apice della popolarità; il 1905 segna la nascita di Little Nemo di Windsor McCay. 

    Nel 1914 Randolph Hearst ha un'idea geniale ed innovativa, e fonda la lungimirante King Featuares Sundicate (KFS), con lo scopo di commercializzare i fumetti in tutto il mondo. Ovviamente la buona riuscita di questo grandioso progetto é condizionata dal voler aumentare la redditività della produzione. Per questo gli editori statunitensi mirano a rivolgersi ad un pubblico il più ampio possibile, privilegiando personaggi in cui tutti, o quasi, possono riconoscersi. Si punta, quindi, ad una comicità di facile comprensione. 

    Durante i primi anni del Novecento le strips domenicali hanno rappresentato un mezzo di intrattenimento economico per le masse e un semplice strumento di apprendimento della lingua per gli immigrati. 
Quando Max Gaines nel 1933 inventa il comic book, l’albo a fumetti come lo conosciamo oggi, il fumetto conquista la sua autonomia dai giornali e nascono testate esclusivamente dedicate ai fumetti. Il genere comico viene presto soppiantato nelle preferenze dei lettori dal genere avventuroso, disegnato con uno stile realistico. 
Non a torto il fumetto americano viene associato al genere supereroistico, a partire dagli anni Quaranta, gli anni d’oro dei supereroi, Marvel e DC in primis: nascono Superman, Batman, Spiderman e altri quattrocento personaggi in costume e calzamaglia che tengono con il fiato sospeso milioni di lettori con le loro avventure: supereroi impegnati contro tedeschi e giapponesi durante la seconda guerra mondiale, supereroi con superproblemi negli anni Settanta, supereroi che affrontano i mali della società negli anni Novanta, supereroi costretti a realizzare la propria impotenza di fronte alla tragedia del 11 settembre 2001. 


3.3 - Il fumetto francese
    I "precedenti" del fumetto in Francia sono le "images d'épinal", gli educativi fogli volanti e illustrati pubblicati a partire dal 1820 dal tipografo Jean Charles Pellerin, a cui collaborarono molti disegnatori illustri come Caran D'Ache. 
Il fumetto moderno però nasce quasi contemporaneamente agli Stati Uniti. Tra il 1889 e il 1896 il professore di scienze Georges Colomb usa lo pseudonimo di Cristophe per pubblicare su settimanali, e poi in volumi, le histories en images della famiglia Fenouillard, prototipo del gruppo borghese intontito e travolto dal mondo che sta cambiando. Sue anche le storie di cucina e di caserma del Sapeur Camember.

    Nel 1905 J.P. Pinchon è l'autore, per La Semaine de Suzette, delle storie che hanno come protagonista Bécassine, la servetta bretone maldestra ma dal cuore d'oro e nel 4 giugno 1908, sul settimanale L'Epatant, apre il trio dei Pieds Nickelés: un gruppo di imbroglioni ma simpatici, creati da Louis Forton, che continuerà a disegnarli fino al 1934: un totale di 1949 avventure - gli si affiancherà negli ultimi anni anche Bibi Fricotin. Nel 1938, fu lanciato Spirou et Fantasio, che fu commercializzato anche in lingua tedesca sotto il nome di Robbedoes per il mercato belga. Un paio di anni dopo cominciò l'esportazione in Olanda.

    Quando però la Germania invase la Francia e il Belgio, divenne pressoché impossibile importare i fumetti americani. Altrettanto, fumetti di carattere discutibile (dal punto di vista dei nazisti) furono banditi immediatamente. Similmente vennero proibiti i cartoni animati americani. Entrambi erano comunque già molto popolari prima dello scoppio della guerra e malgrado le difficoltà economiche di quel periodo, la domanda sembrò soltanto aumentare. Ciò diede a molti giovani artisti l'opportunità di iniziare a lavorare nel giro d'affari dei fumetti e dell'animazione. In un primo momento artisti come Jijé con Spirou ed Edgar P. Jacobs con Bravo continuarono le storie americane interrotte di Superman e Flash Gordon, e simultaneamente imitando lo stile e il procedere di questi fumetti le loro conoscenze artistiche aumentarono notevolmente. Ma presto persino queste versioni artigianali dei fumetti americani dovettero fermarsi e gli autori dovettero creare eroi e storie di persona, così i giovani talenti ebbero l'opportunità di pubblicare le proprie opere.

    Molti dei più famosi artisti dello stile franco-belga furono lanciati in questo periodo, André Franquin e Peyo che fondarono uno studio d'animazione, e Willy Vandersteen, Jacques Martin e Albert Uderzo che lavorarono su Bravo


3.4 - I manga
    Il termine manga significa letteralmente “immagini libere”, “immagini stravaganti”. Fu inizialmente usato alla fine del XVIII secolo in alcune pubblicazioni, come il libro d'illustrazioni Shiji no yukikai di Santō Kyōden, e il Manga hyakujo di Aikawa Minwa, entrambi del 1798. In seguito fu anche usato dal famoso artista giapponese Hokusai nell'Hokusai manga del 1814. Rakuten Kitazawa fu, invece, il primo disegnatore ad utilizzare la parola manga ottenendola dagli ideogrammi "man" cioè libero, stravagante e "ga" immagine, che però viene tradotto nel suo attuale significato di fumetto. 

    Ai nostri giorni tendenzialmente in Europa si identifica il fumetto con una produzione per bambini e ragazzi: i manga, con le loro figure dai tratti spesso infantili - come gli occhi grandi - ad un occhio inesperto, suscitano inizialmente una certa confusione. 
L'origine di questa caratteristica è un prestito culturale che si fa risalire al 1946 quando il famoso autore Osamu Tezuka (1928-1989), soprannominato “il dio dei manga” vide pubblicato il suo primo manga (Ma-chan no nikki). Egli stesso, grande ammiratore di Walt Disney, ammette di essersi ispirato nel manga Kimba il Leone Bianco allo stile del Bambi disneyano (curiosamente in seguito la Disney, per via di alcune polemiche sulla somiglianza tra Il re leone e Kimba il Leone Bianco, ha ammesso di essersi ispirata a sua volta all'opera di Tezuka). Tuttavia, ormai è difficile considerare lo stile di disegno come “manga”, poiché numerose pubblicazioni presentano stili di disegno molto differenti, ad esempio Angel Heart oppure Berserk. La differenza più evidente tra il fumetto manga e quello occidentale risiede nelle modalità di narrazione, regia, impaginazione ed il rapporto che la storia ha con i personaggi. 

    Ancora ai giorni nostri, nell’epoca della televisione e di internet, in Giappone, al contrario che in Italia, i manga godono di grande popolarità. Alcuni sociologi nipponici hanno addirittura sostenuto che proprio grazie al manga la comunicazione letteraria conserva nel paese un ruolo maggiore di quanto non accada in Occidente. 


3.5 - Il fumetto in Italia
    L'adozione del fumetto in Italia rientra nel quadro dell'adozione delle mode e dei modi della borghesia internazionale da parte dei ceti privilegiati italiani: fa parte della “modernizzazione” in atto. Il fumetto in Italia trova il suo pubblico soprattutto nel mondo dei ragazzi. E alcune riviste principali, una delle quali è L'Illustrazione dei Piccoli, edito a Torino da Picco e Toselli, che fa conoscere soprattutto il fumetto francese. 

    Ma il fumetto vero e proprio arriva in Italia il 27 dicembre del 1908, con l’uscita del Corriere dei Piccoli, supplemento del Corriere della Sera destinato ai bambini e contenente personaggi statunitensi che ben presto vengono affiancati da personaggi interamente made in Italy: Il Signor Bonaventura di Sto (Sergio Tofano) o il Sor Pampurio di Bisi. Il genere avventuroso si afferma negli anni Trenta con vendite incredibili, che superano le centinaia di migliaia di copie nel caso de L’Avventuroso della Nerbini. 

    Nel 1937 nasce Il Vittorioso, settimanale cattolico, che vede esercitarsi sulle sue pagine talenti come Jacovitti, Craveri e Caprioli. La testata Topolino, edita da Nerbini prima, ma passata poi nel 1935 alla Mondadori e infine alla Walt Disney Italia, ripropone i personaggi della Walt Disney che a partire dagli anni Cinquanta vengono direttamente scritti e disegnati da italiani con grandissimo successo, tanto che oggi il 70% della produzione mondiale di fumetti disneyani è di origine italiana. 

    Non si può parlare di fumetto italiano senza citare Tex Willer, il cowboy amico degli indiani nato dalla fantasia di Gianluigi Bonelli nel 1948, che dal 1958 abbandona la formula della striscia per quella dell’albo di dimensioni 16×20, formato oggi chiamato “bonelliano”. Ma il fumetto non è solo avventura nel west o comicità, è anche crimine e freddezza con Diabolik delle sorelle Giusani, vero e proprio fenomeno di costume nel periodo del boom economico. 

    L’uscita nel 1971 della Ballata del mare salato di Hugo Pratt segna un passaggio fondamentale nel modo di intendere il fumetto, non più il fumetto come media per raccontare ad immagini un romanzo, (basti ricordare i romanzi di Salgari sul Vittorioso), ma è il fumetto che si fa romanzo.

    Dopo la crisi di idee che ha colpito il settore verso la fine degli anni Ottanta, il fumetto sembra ora aver ritrovato nuove energie e vivere una seconda giovinezza con nuovi autori e nuovi personaggi che sono entrati nel cuore dei lettori: Magico Vento, Brendon, I Tre Allegri Ragazzi Morti, Ratman, Witch: come è stato detto nel capitolo precedente, ciò che manca non sono le idee o i grandi autori, ma un loro riconoscimento da parte della critica artistica e del grande pubblico. 

    Abbiamo visto che il fumetto non vive una vita facile in Italia. A differenza di quanto accade in Francia - dove esiste una consapevolezza diffusa delle potenzialità espressive di questo mezzo di comunicazione, e di conseguenza un mercato di dimensioni ragguardevoli - in Italia il fumetto patisce ancora del pregiudizio che lo vede come “sottoletteratura”. Il mercato, anche nei momenti migliori, è di piccole dimensioni; e sovente la produzione stessa risente del pregiudizio, adeguandosi alle aspettative del pubblico. Nonostante questo, l'Italia ha ripetutamente prodotto fenomeni di grande interesse per il mondo del fumetto - non di rado grazie anche all'interessamento del mercato francese, che ha permesso la sopravvivenza ad autori che altrimenti sarebbero stati schiacciati dalle contingenze economiche. La marginalità, e lo scarso interesse della grande editoria al fenomeno fumetto, è, nel bene come nel male, la caratteristica ambientale in cui gli autori italiani lavorano, approfittando della grande libertà inventiva che questo permette (molto maggiore che, per esempio, per gli autori francesi) ma patendo al tempo stesso dei rischi di un ambiente avaro di riconoscimenti. Con questo quadro di fondo, il mercato e la produzione italiana sono contraddistinte da un andamento ciclico, con un periodo all'incirca decennale, caratterizzato solitamente da crisi della durata di tre-quattro anni e da riprese (a volte esplosive) quando un fenomeno risveglia l'interesse del pubblico. 

    Indipendentemente dal loro valore, non sono comunque gli autori che abbiamo accennato, a fare la storia del fumetto italiano dei primi anni Novanta, almeno se si guardano le cose attraverso gli occhi del mercato. Il periodo horror e splatter non è stato di grande durata, né di particolare qualità, nonostante il boom delle vendite, con una sola particolare eccezione: Dylan Dog. 
Nato nel 1986, senza particolari clamori, dalla penna dello sceneggiatore Tiziano Sclavi, e addirittura incerto, dopo i primi numeri, sulla propria sopravvivenza, diventa quasi improvvisamente, dopo circa due anni, un fenomeno cult, arrivando a livelli di vendita uguagliati, in Italia, solo da Topolino e da Tex, del medesimo editore, Sergio Bonelli. Per diversi anni Dylan Dog resterà il fumetto di cui si parla di più, e la sua casa editrice, la più tradizionalmente popolare e - qualitativamente - conservatrice del panorama italiano, diventerà una casa editrice “di tendenza”. 
A tutt'oggi, in un momento di netta crisi del settore, Dylan Dog e la Bonelli in generale, pur se un poco ridimensionati rispetto ai successi dell'inizio del decennio, restano il punto di riferimento più saldo del fumetto italiano; unica, forse, realtà editoriale di fumetto professionale di buona qualità nel nostro paese. Dal punto di vista stilistico, Dylan Dog costituisce un caso di enorme interesse. Si tratta di un fumetto destinato a un pubblico popolare, un prodotto di squadra con un inventore-caposquadra, Tiziano Sclavi, una supervisione editoriale attenta e costante, e un gruppo di disegnatori e co-sceneggiatori di varia capacità. Ma si tratta anche di un prodotto fortemente autoriale, destinato a un pubblico intellettuale, in cui le responsabilità dei vari autori sono sempre chiaramente riconoscibili, e, prima fra tutte, quella di Sclavi. 

    Questa contraddizione evidente e magistralmente giocata è l'anima narrativa stessa di Dylan Dog: Sclavi è riuscito a creare un modo di raccontare fatto di rimontaggio del già visto e di abbondanza di citazioni, senza con questo per nulla cadere né nella maniera né nell'intellettualismo. Gli adolescenti sono i principali lettori della rivista, e quello che viene percepito dal lettore medio è probabilmente la notevole capacità di montare storie che hanno continui colpi di scena, e che riescono nonostante la loro esagerazione, nonostante l'eccesso cui sono continuamente sottoposte, ugualmente a non annoiare mai. Sclavi possiede un'incredibile capacità di giocare con i luoghi comuni delle storie già note, in particolare quelle del cinema. 
Tante storie di Dylan Dog seguono la falsariga di un film di successo, ben riconoscibile dalle prime pagine, ma le variazioni sul tema trasformano la ripresa in reinvenzione e il lettore è portato continuamente a chiedersi quale sarà l'evoluzione del gioco, e come verrà conservato il parallelismo con il testo di riferimento senza snaturare né quello né il senso della storia che stiamo leggendo: Sclavi ha fatto scuola, oltre che tendenza. 
La mania del citazionismo ha invaso una buona parte del fumetto italiano, e del fumetto della Bonelli in particolare. Così come ha avuto numerosi tentativi di imitazione il suo modo di raccontare, apparentemente fatto soprattutto di colpi di scena, in realtà così tanto più difficile di quello che sembra, e così tanto più intimamente complesso che nessuno è riuscito a riutilizzarlo con successo. 

    Quanto la passione per il fumetto francese negli anni Settanta era stata proficua per i giovani autori italiani, tanto poco lo è stata quella per i fumetti americani e giapponesi tra gli Ottanta e i Novanta. Supereroi e manga hanno saturato il mercato, al massimo fornendo qualche risorsa economica agli editori, da sperperare per pubblicare autori italiani - senza, in generale, fornire ispirazione per produzioni nazionali. Unica eccezione di rilievo l'opera di editore di Daniele Brolli, prima con la rivista Cyborg, e poi con la casa editrice Phoenix. Circondatosi di ottimi sceneggiatori e disegnatori, e nonostante un'estrema povertà di risorse economiche e una risposta sufficiente ma probabilmente non incoraggiante da parte del mercato, Brolli ha dato vita a un insieme di serie di argomento fantascientifico, tra loro narrativamente collegate, che raccontano storie di supereroi e di persone comuni. Il tentativo è quello di creare un epos supereroistico italiano, da contrapporre a quello americano - con eroi psicologicamente assai meno monolitici, e storie molto meno manichee. Un tentativo difficile, perché per molti lettori di supereroi l'americanità è parte stessa dell'epos; non a caso, la serie più riuscita e di maggiore risposta è stata Fondazione Babele, di Massimo Semerano e Marco Nizzoli, i cui (super)eroi sono un gruppo di artisti di successo, alle prese con esilaranti disavventure mondane. 

    Al di là di questo, l'ambiente del fumetto italiano si muove, ma con mille pastoie e difficoltà. Qualche autore umoristico di rilievo appare sulla rivista Comix, come Massimo Cavezzali, attivo peraltro dalla fine degli anni Settanta, o Sauro Ciantini, rivelazione degli ultimi anni; mentre altri, come Leo Ortolani, si pubblicano da soli (e, nel loro piccolo, riescono a esaurire la tiratura). Altri autori che si sono fatti notare, come Paolo Bacilieri, hanno rapidamente preso la strada della Francia, dove la vita dei fumettisti è un po' meno difficile


Note
Vedi capitolo 7 e inoltre: Scott McCloud, Capire il fumetto - l'arte invisibile, Pavesio, Torino, 2006


Non perdetevi il prossimo appuntamento, parlerò di Little Nemo in Wonderland!!!
M

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